La Quaresima è il tempo privilegiato del pellegrinaggio interiore verso Colui che è la fonte della misericordia.                È un pellegrinaggio in cui Lui stesso ci accompagna attraverso il deserto della nostra povertà, sostenendoci nel cammino verso la gioia intensa della Pasqua. 
Anche nella “valle oscura” , mentre il tentatore ci suggerisce di disperarci o di riporre una speranza illusoria nell’opera delle nostre mani, Dio ci custodisce e ci sostiene. 
Sì, anche oggi il Signore ascolta il grido delle moltitudini affamate di gioia, di pace, di amore. Come in ogni epoca, esse si sentono abbandonate. 
              Eppure, anche nella desolazione della miseria, della solitudine, della violenza e della fame, che colpiscono senza distinzione anziani, adulti e bambini, Dio non permette che il buio dell’orrore spadroneggi.
		   
		  Cari fratelli e sorelle! 
		  All'inizio della Quaresima, che costituisce un cammino di più intenso   allenamento spirituale, la Liturgia ci ripropone tre pratiche penitenziali molto   care alla tradizione biblica e cristiana - la preghiera, l'elemosina, il digiuno   - per disporci a celebrare meglio la Pasqua e a fare così esperienza della   potenza di Dio che, come ascolteremo nella Veglia pasquale, "sconfigge il male,   lava le colpe, restituisce l'innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti.   Dissipa l'odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pace"   (Preconio pasquale). Nel consueto mio Messaggio quaresimale, vorrei   soffermarmi quest'anno a riflettere in particolare sul valore e sul senso del   digiuno. La Quaresima infatti richiama alla mente i quaranta giorni di digiuno   vissuti dal Signore nel deserto prima di intraprendere la sua missione pubblica.   Leggiamo nel Vangelo: "Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere   tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla   fine ebbe fame" (Mt 4,1-2).   Come Mosè prima di ricevere le Tavole della Legge (cfr Es 34,28),   come Elia prima di incontrare il Signore sul monte Oreb (cfr 1 Re 19,8),   così Gesù pregando e digiunando si preparò alla sua missione, il cui inizio fu   un duro scontro con il tentatore. 
		  Possiamo domandarci quale valore e quale senso abbia per noi cristiani il   privarci di un qualcosa che sarebbe in se stesso buono e utile per il nostro   sostentamento. Le Sacre Scritture e tutta la tradizione cristiana insegnano che   il digiuno è di grande aiuto per evitare il peccato e tutto ciò che ad esso   induce. Per questo nella storia della salvezza ricorre più volte l'invito a   digiunare. Già nelle prime pagine della Sacra Scrittura il Signore comanda   all'uomo di astenersi dal consumare il frutto proibito: "Tu potrai mangiare di   tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del   male non devi mangiare perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente   dovrai morire" (Gn 2,16-17).   Commentando l'ingiunzione divina, san Basilio osserva che "il digiuno è stato   ordinato in Paradiso", e "il primo comando in tal senso è stato dato ad Adamo".   Egli pertanto conclude: "Il 'non devi mangiare' è, dunque, la legge del digiuno   e dell'astinenza" (cfr Sermo de jejunio: PG 31, 163, 98). Poiché   tutti siamo appesantiti dal peccato e dalle sue conseguenze, il digiuno ci viene   offerto come un mezzo per riannodare l'amicizia con il Signore. Così fece Esdra   prima del viaggio di ritorno dall'esilio alla Terra Promessa, invitando il   popolo riunito a digiunare "per umiliarci - disse - davanti al nostro Dio"   (8,21). L'Onnipotente ascoltò la loro preghiera e assicurò il suo favore e la   sua protezione. Altrettanto fecero gli abitanti di Ninive che, sensibili   all'appello di Giona al pentimento, proclamarono, quale testimonianza della loro   sincerità, un digiuno dicendo: "Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il   suo ardente sdegno e noi non abbiamo a perire!" (3,9). Anche allora Dio vide le   loro opere e li risparmiò. 
		  Nel Nuovo Testamento, Gesù pone in luce la ragione profonda del digiuno,   stigmatizzando l'atteggiamento dei farisei, i quali osservavano con scrupolo le   prescrizioni imposte dalla legge, ma il loro cuore era lontano da Dio. Il vero   digiuno, ripete anche altrove il divino Maestro, è piuttosto compiere la volontà   del Padre celeste, il quale "vede nel segreto, e ti ricompenserà" (Mt 6,18). Egli   stesso ne dà l'esempio rispondendo a satana, al termine dei 40 giorni passati   nel deserto, che "non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce   dalla bocca di Dio" (Mt 4,4). Il   vero digiuno è dunque finalizzato a mangiare il "vero cibo", che è fare la   volontà del Padre (cfr Gv 4,34). Se   pertanto Adamo disobbedì al comando del Signore "di non mangiare del frutto   dell'albero della conoscenza del bene e del male", con il digiuno il credente   intende sottomettersi umilmente a Dio, confidando nella sua bontà e   misericordia. 
		  Troviamo la pratica del digiuno molto presente nella prima comunità cristiana   (cfr At 13,3; 14,22; 27,21; 2 Cor 6,5).   Anche i Padri della Chiesa parlano della forza del digiuno, capace di tenere a   freno il peccato, reprimere le bramosie del "vecchio Adamo", ed aprire nel cuore   del credente la strada a Dio. Il digiuno è inoltre una pratica ricorrente e   raccomandata dai santi di ogni epoca. Scrive san Pietro Crisologo: "Il digiuno è   l'anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno, perciò chi prega   digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere   esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé   il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica" (Sermo 43: PL 52, 320. 332). 
		  Ai nostri giorni, la pratica del digiuno pare aver perso un po' della sua   valenza spirituale e aver acquistato piuttosto, in una cultura segnata dalla   ricerca del benessere materiale, il valore di una misura terapeutica per la cura   del proprio corpo. Digiunare giova certamente al benessere fisico, ma per i   credenti è in primo luogo una "terapia" per curare tutto ciò che impedisce loro   di conformare se stessi alla volontà di Dio. Nella Costituzione apostolica Pænitemini del 1966, il Servo di Dio Paolo VI ravvisava la necessità di collocare il   digiuno nel contesto della chiamata di ogni cristiano a "non più vivere per se   stesso, ma per colui che lo amò e diede se stesso per lui, e ... anche a vivere   per i fratelli" (cfr Cap. I). La Quaresima potrebbe essere un'occasione   opportuna per riprendere le norme contenute nella citata Costituzione   apostolica, valorizzando il significato autentico e perenne di quest'antica   pratica penitenziale, che può aiutarci a mortificare il nostro egoismo e ad   aprire il cuore all'amore di Dio e del prossimo, primo e sommo comandamento   della nuova Legge e compendio di tutto il Vangelo (cfr Mt 22,34-40). 
		  La fedele pratica del digiuno contribuisce inoltre a conferire unità alla   persona, corpo ed anima, aiutandola ad evitare il peccato e a crescere   nell'intimità con il Signore. Sant'Agostino, che ben conosceva le proprie   inclinazioni negative e le definiva "nodo tortuoso e aggrovigliato"   (Confessioni, II, 10.18), nel suo trattato L'utilità del digiuno,   scriveva: "Mi dò certo un supplizio, ma perché Egli mi perdoni; da me stesso mi   castigo perché Egli mi aiuti, per piacere ai suoi occhi, per arrivare al diletto   della sua dolcezza" (Sermo 400, 3, 3: PL 40, 708). Privarsi del   cibo materiale che nutre il corpo facilita un'interiore disposizione ad   ascoltare Cristo e a nutrirsi della sua parola di salvezza. Con il digiuno e la   preghiera permettiamo a Lui di venire a saziare la fame più profonda che   sperimentiamo nel nostro intimo: la fame e sete di Dio. 
		  Al tempo stesso, il digiuno ci aiuta a prendere coscienza della situazione in   cui vivono tanti nostri fratelli. Nella sua Prima Lettera san Giovanni   ammonisce: "Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in   necessità gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l'amore di Dio?"   (3,17). Digiunare volontariamente ci aiuta a coltivare lo stile del Buon   Samaritano, che si china e va in soccorso del fratello sofferente (cfr Enc. Deus   caritas est, 15). Scegliendo liberamente di privarci di qualcosa per   aiutare gli altri, mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà non ci   è estraneo. Proprio per mantenere vivo questo atteggiamento di accoglienza e di   attenzione verso i fratelli, incoraggio le parrocchie ed ogni altra comunità ad   intensificare in Quaresima la pratica del digiuno personale e comunitario,   coltivando altresì l'ascolto della Parola di Dio, la preghiera e l'elemosina.   Questo è stato, sin dall'inizio, lo stile della comunità cristiana, nella quale   venivano fatte speciali collette (cfr 2 Cor 8-9; Rm 15, 25-27),   e i fedeli erano invitati a dare ai poveri quanto, grazie al digiuno, era stato   messo da parte (cfr Didascalia Ap., V, 20,18). Anche oggi tale pratica va   riscoperta ed incoraggiata, soprattutto durante il tempo liturgico quaresimale. 
		  Da quanto ho detto emerge con grande chiarezza che il digiuno rappresenta una   pratica ascetica importante, un'arma spirituale per lottare contro ogni   eventuale attaccamento disordinato a noi stessi. Privarsi volontariamente del   piacere del cibo e di altri beni materiali, aiuta il discepolo di Cristo a   controllare gli appetiti della natura indebolita dalla colpa d'origine, i cui   effetti negativi investono l'intera personalità umana. Opportunamente esorta un   antico inno liturgico quaresimale: "Utamur ergo parcius, / verbis, cibis et   potibus, / somno, iocis et arctius / perstemus in custodia - Usiamo in modo   più sobrio parole, cibi, bevande, sonno e giochi, e rimaniamo con maggior   attenzione vigilanti". 
		  Cari fratelli e sorelle, a ben vedere il digiuno ha come sua ultima finalità   di aiutare ciascuno di noi, come scriveva il Servo di Dio Papa Giovanni   Paolo II, a fare di sé dono totale a Dio (cfr Enc. Veritatis splendor,   21). La Quaresima sia pertanto valorizzata in ogni famiglia e in ogni   comunità cristiana per allontanare tutto ciò che distrae lo spirito e per   intensificare ciò che nutre l'anima aprendola all'amore di Dio e del prossimo.   Penso in particolare ad un maggior impegno nella preghiera, nella lectio   divina, nel ricorso al Sacramento della Riconciliazione e nell'attiva   partecipazione all'Eucaristia, soprattutto alla Santa Messa domenicale. Con   questa interiore disposizione entriamo nel clima penitenziale della Quaresima.   Ci accompagni la Beata Vergine Maria, Causa nostrae laetitiae, e ci   sostenga nello sforzo di liberare il nostro cuore dalla schiavitù del peccato   per renderlo sempre più "tabernacolo vivente di Dio". Con questo augurio, mentre   assicuro la mia preghiera perché ogni credente e ogni comunità ecclesiale   percorra un proficuo itinerario quaresimale, imparto di cuore a tutti la   Benedizione Apostolica. 
		  Dal Vaticano, 11 Dicembre 2008 
		  BENEDICTUS PP. XVI