La vita dell'uomo si svolge nel tempo. La percezione che l'uomo   ha della realtà, è misurata dal tempo. L'uomo non riesce tuttavia a   "comprendere" l'intima natura del tempo che rimane per lui una cosa misteriosa,   indefinibile, nella quale è difficile distinguere chiaramente l'elemento   oggettivo dall'elemento soggettivo. 
		  Noi sappiamo però dalla rivelazione che Dio, il quale è al di   fuori e al di sopra del tempo, per incontrarsi con noi e per salvarci ha agito   nel tempo e attraverso il tempo. Da questa azione di Dio nel tempo, il tempo   stesso è rimasto come santificato, diventando mezzo del nostro progressivo   cammino verso l'unione piena e definitiva con Dio. Ogni vita umana e ogni parte   della vita umana diventa allora una tappa, un momento di questo   cammino. 
		  Poichè la nostra vita umana si compie nel tempo,   successivamente e progressivamente, lo stesso si verifica anche per la nostra   vita nuova, ricevuta da Dio in Cristo. 
		  L'inizio di questa vita nuova e il suo progressivo sviluppo   fino alla pienezza definitiva vengono designati con il nome di "mistero   pasquale". Il mistero pasquale consiste infatti nel passaggio da questo   mondo, attraverso una comunione di morte nell'obbedienza del Figlio, verso un   mondo nuovo, dominato dallo Spirito, nella gloria della risurrezione presso il   Padre (cf Gv 13,1; Fil 2,6-11). Questo passaggio che si è già compiuto in   Cristo (e in Maria), continua a realizzarsi per tutte le altre membra del suo   corpo mistico. Esso sarà completo al termine della storia, quando il Cristo   ritornerà nella gloria "per giudicare i vivi e i morti". 
		  Ecco perchè ciò che noi cristiani celebriamo nell'azione   liturgica non è un semplice ricordo di un avvenimento passato, ma la   attualizzazione di un atto salvifico che continua a influire anche ora sulle   membra del corpo di Cristo. Nella celebrazione liturgica non si ha dunque   solamente un ricordo, ma anche una presenza; come pure una anticipazione del   ritorno di Cristo: il chè significa che, nel medesimo tempo, noi aspettiamo   questo ritorno e, partecipando alla pasqua del Signore, noi contribuiamo alla   sua venuta.  
		  Accenniamo ora al problema del carattere reale delle feste e   delle celebrazioni cristiane: quando i testi liturgici usano il termine "hodie",   vuol dire che oggi il gesto salvifico di Cristo, rievocato nella festa, viene   realmente rinnovato? 
		  Possiamo rispondere nel modo seguente: tutta la nostra vita   cristiana - come si è appena detto - realizza il nostro passaggio "da questo   mondo al Padre". Quando dunque noi celebriamo la Pasqua (nei tre giorni del   triduo santo e nell'intero ciclo pasquale, come pure ogni domenica e in ogni   sacramento), non celebriamo un avvenimento passato, ma un fatto presente,   sempre attuale. Non è tuttavia l'atto storico del passaggio di Cristo che   diventa presente, atto che è stato compiuto una volta per sempre; ciò che è   attuale e avviene ora, è il nostro passaggio di membra del Cristo, passaggio che   si compie ora sotto l'influsso e la'azione attuale di Gesù che è passato una   volta per sempre "da questo mondo al Padre" (Gv 13,1). 
		  
		    Quanto si può affermare della celebrazione pasquale   non si può dire nel medesimo modo delle altre feste, anche se esse pure usano   l'"hodie", se non nella misura in cui queste sono momenti particolari o aspetti   del mistero pasquale. Ad esempio il Natale. E' la festa della nascita umana del   Figlio di Dio. Ebbene, mai nella sacra Scrittura si afferma che noi dobbiamo   partecipare a questa nascita, così come viene invece detto che dobbiamo   partecipare alla morte-risurrezione di Cristo. Non è alla nascita umana di   Cristo, ma alla sua nascita divina che noi veniamo associati.  
		     
		  Occorre ricordare come, storicamente, la celebrazione della   iniziazione cristiana abbia dato una dimensione di particolare attualità alla   commemorazione annuale del mistero di morte e risurrezione di Cristo che veniva   vissuto nel "passaggio" dei catecumeni alla vita nuova. 
		     
		  Inoltre, l'adesione interiore a questo "passaggio" del Signore,   non è semplice atto individuale, ma un fatto universale, ecclesiale, causato da   un intervento attuale di Cristo che agisce ora, oggi, per mezzo dei gesti   sacramentali della sua Chiesa, per la trasformazione e la risurrezione del   mondo. 
		  La veglia pasquale  
		  Finora abbiamo parlato dell'attualità del mistero pasquale.   Vediamo ora come la liturgia, a partire almeno dalla metà del secondo secolo (e   forse dalla fine della stessa epoca apostolica) celebri questo   mistero. 
		  Al centro sta la veglia pasquale che celebra l'intera storia   della salvezza culminante nella morte e risurrezione di Gesù. Questa veglia   comporta una celebrazione della parola (più estesa che nelle messe ordinarie),   la celebrazione della iniziazione cristiana e la celebrazione eucaristica nella   quale ha culmine lo stesso rito di iniziazione vissuto dai neofiti e   rivissuto(mediante la rinnovazione delle promesse battesimali) da tutti i   fedeli. Più tardi si è sviluppato una celebrazione introduttoria centrata sulla   luce. La celebrazione eucaristica di questa notte è stata seguita, alle origini   (e più a lungo delle altre domeniche) da un'agape con la quale veniva rotto il   digiuno e inaugurata la pentecoste gioiosa.  
		  
		    Quando le comunità cristiane diventarono troppo   numerose per la celebrazione di un'agape generale nella chiesa, si continuò a   celebrare queste agapi nelle case private, mentre solo i presbiteri con le loro   spose, le vedove e le vergini, celebravano l'agape nella chiesa.  
		     
		  (Sotto questa forma si potrebbe ancora oggi dare vita ad una   prassi di gioiosa conclusione familiare alla celebrazione sacramentale della   pasqua, a condizione di poter ritrovare il senso spirituale di questo pasto   fraterno - v. Comunità Neocatecumenali). 
		     
		  Con i cinque elementi enumerati, la veglia pasquale si presenta   come la più intensa celebrazione del mistero pasquale nella sua totalità. Il   fatto di vegliare tutta la notte significa che nella notte di questa vita noi   aspettiamo l'alba della risurrezione (il ritorno di Cristo) che già ci illumina   nella fede (celebrazione della luce). La celebrazione della parola richiama,   attraverso le varie letture, tutta la storia della salvezza. Con la celebrazione   battesimale noi riviviamo, e i neofiti inaugurano, la partecipazione al mistero   di morte e risurrezione del Signore. Il tutto culmina nella eucarestia,   sacramento per eccellenza della pasqua, che acquista in questa notte una   significatività e una intensità maggiori. L'agape può prolungare la celebrazione   eucaristica e come questa prefigura il banchetto escatologico al quale il   mistero pasquale ci introduce (Lc 22,16-18) . 
		  Il triduo  pasquale 
		  I tre giorni che vanno dalla sera del giovedì santo alla sera   della domenica di Pasqua (cf Cal. Rom. 19) costituiscono il triduo "della morte   sepoltura e risurrezione" del Signore .  
		  Agli inizi, il venerdì e il sabato sono stati caratterizzati   dal digiuno e la domenica dalla gioia, senza però che ci siano state delle   celebrazioni liturgiche oltre quella della veglia pasquale nella notte fra il   sabato e la domenica. In questo senso non si può dire che il triduo pasquale sia   una estensione della veglia pasquale. Eso costituisce piuttosto un qualche cosa   di presupposto affinchè questa possa assumere tutta la pienezza del suo   significato. La notte pasquale è il passaggio dal digiuno alla gioia, come è   stata il passaggio, per Cristo, dalla morte alla vita. 
		  
		    Con il digiuno si partecipa alla passione e morte di   Cristo; con la gioia si è uniti alla sua risurrezione. Nel secondo secolo si   riteneva il digiuno precedente la veglia pasquale così essenziale per la   celebrazione della pasqua che i termini "digiunare" e "celebrare la pasqua" sono   stati usati come sinonimi. Anche la costituzione conciliare sulla liturgia (S.C.   110) insiste sull'importanza di questo digiuno. 
		     
		  Le altre celebrazioni del triduo pasquale hanno iniziato ad   evolversi separatamente, quando, soprattutto sotto l'influsso dei pellegrinaggi   fatti a Gerusalemme, si è cominciato a distinguere i vari momenti storici del   grande avvenimento pasquale. Nacquero così le celebrazioni eucaristiche del   giovedì santo e della domenica e la liturgia non-eucaristica del venerdì santo.   E' a questo punto che si può davvero parlare di estensione (per anticipazione e   per prolungamento) della liturgia della notte pasquale. 
		  
		    Il venerdì e il sabato sono rimasti senza eucaristia,   probabilmente per due ragioni storiche:  
		     
		  1) Quando la celebrazione della Pasqua si venne organizzando,   non esisteva ancora la consuetudine di celebrare l'eucarestia nei giorni   feriali; e la tradizione di questi giorni liturgici è stata fissata in tempi   molto antichi.  
		    2) La coscienza del valore speciale del digiuno in questi due   giorni si è mantenuta a lungo, anche dopo l'introduzione della quaresima. E   questo digiuno era un digiuno completo in partecipazione alla sofferenza di   Cristo, mentre l'eucarestia comporta di per sè gioia e termine del digiuno.   Questi motivi hanno portato alla preservazione dell'usanza primitiva e   l'eucarestia della veglia pasquale è tanto quella del venerdì come del   sabato. 
		     
		    
		  Tratto da www.lachiesa.it   |